L'irriverente commedia portata sullo schermo da Blake Edwards torna in versione teatrale con Matilde Brandi e Justine Mattera
Un'immagine divenuta quasi un logo. Lucide labbra rosso fuoco sormontate da un paio di baffi risplendenti come un'insegna luminosa, l'insegna appunto di un musical di successo in un teatro di Broadway. E' la celeberrima locandina del film «Victor Victoria» con il quale Blake Edwards festeggiò la sua trentesima regia, vincendo, nel 1983, un David di Donatello e guadagnandosi anche una candidatura all'Oscar. L'elegante, raffinato profilo di Julie Andrews è indissolubilmente legato alla protagonista di questa divertente e dissacrante commedia sull'ambiguità sessuale.
Seguendo ora il destino di tutti i grandi musical, anche questo approda, rigorosamente in lingua italiana, ai nostri palcoscenici. Debutta infatti al Teatro Nuovo, martedì 16 marzo, un «Victor Victoria» autenticamente nostrano che affida l'irriverente gioco dell'ambivalenza alla giovane showgirl Matilde Brandi. Accanto a lei Paolo Ferrari, nel ruolo di Carol Todd (indimenticato Robert Preston nel film), l'amico gay che, improvvisandosi impresario, ispira a Victoria, come espediente per sbarcare il lunario, lo stratagemma del trasformismo, destinato inaspettatamente a uno strepitoso successo. Gianni Nazzaro, figlio d'arte, eredita invece i panni indossati nella versione cinematografica da James Garner. Interpreta quindi King Marchan, il boss che si innamora di Victor ma che, fiutando la vera identità del misterioso oggetto del desiderio, mette in moto uno spassoso marchingegno generatore di confusioni, intrighi, sorprese, fino al finale disvelamento del vero volto della protagonista. Justine Mattera è infine l'amante gelosa di Marchan. La regia è firmata da Claudio Insegno e le coreografie da uno dei più noti coreografi televisivi italiani, Marco Garofalo. Non stanca di incantare e divertire la bizzarra vicenda, nella cornice della Parigi del 1934, di Victoria Grant, soprano inglese dotato di un cristallino Mi naturale che decide, per risolvere i suoi problemi finanziari (indimenticabile la scena dello scarafaggio nel piatto a ristorante, per evitare di pagare il conto), di assumere l'identità di Victor Grazinsky, nobile polacco, ballerino e cantante; di fingere di «essere un uomo che finge di essere una donna», dando vita a una vera e propria commedia degli equivoci animata tuttavia da un umorismo sofisticato e irriverente tipico di certa cultura omosessuale americana. Il lieto fine è naturalmente d'obbligo con immancabile liberazione della seducente femminilità che la protagonista ha a lungo mortificato e altrettanto immancabile riconduzione dell'ambiguità al suo luogo legittimo, dal momento che sarà Toddy a ereditare il ruolo di Victor/Victoria fingendo di essere «una donna che finge di essere un uomo che si finge donna».
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